ciao, qui tiziano sgarbi…tizio…bob corn.Vivo in un piccolo villaggio di campagna, nel Nordest dell’Italia, dove sono nato il 5 novembre 1968 and dove ho trascorso tutta la mia vita sino ad oggi.
E’ da circa nove anni che sono coinvolto all’interno della scena rock, occupandomi di diverse cose: organizzando concerti e festival, organizzando tour, guidando gruppi su e giù, coordinando il lavoro di una piccola etichetta, cercando di fare tutte queste cose in un sincero modo d.i.y.
Musica e persone al primo posto…
dopo alcune cose successemi di persona, ho iniziato a suonare la mia musica, scrivendo canzoni e facendo concerti, dicendo di chiamarmi “bob corn”. era la fine del 2001, era qualcosa che dovevo fare, necessariamente.Era come un gioco, un gioco serio…adesso sono io: suono semplici linee di accordi con una chitarra acustica e canto di persone e amore…mi piace chiamare la mia musica “sad punk”…in questi anni ho fatto uscire tre dischi e suonato moltissimi concerti su e giù per l’Italia e molti anche all’estero, dividendo il palco con band sconosciute tanto quanto lo sono io o con anche i miei artisti preferiti (mike watt, calvin johnson, explosions in the sky, karate, sodastream, xiu-xiu, sj esau…e molti altri…sì, son proprio fortunato!) e…vorrei poterlo fare ancora e ancora…intendo dire altre canzoni, altri dischi, altri concerti, altre persone…quindi…per piacere, contattatemi se siete interessati a collaborare con me o anche semplicemente per saperne di più!
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Cos´ha di speciale Tiziano Sgarbi (in arte Bob Corn)? Facile a dirsi: scrive delle gran belle canzoni (*). Perché dedicargli un top su sands-zine? Difficile a spiegarsi: ci proverò nella consapevolezza che, ancor più dei nostri lettori, rischio di non accontentare me stesso. La scrittura di Bob Corn non può certo definirsi innovativa e neppure particolare, in quanto è facile scorgervi quel modello folk-cantautorale ormai classicizzato che da Bob Dylan porta a Will Oldham passando per Leonard Cohen. La voce pare spesso ´rotta´ e si produce in suggestive tonalità che fanno pensare ad un Matt Jones più rauco. Quindi, pensando al disco come ad un oggetto asettico e fine a se stesso, non è affatto il caso di gridare ´al miracolo´.
Ma non sempre si può valutare un disco con un simile criterio, e si da il caso che "We Don´t Need The Outside" è una di quelle realizzazioni che vanno inserite in un contesto più ampio. Non si può scriverne senza scrivere dell´uomo, dell´idealista che anima le scena indipendente italiana attraverso l´organizzazione di concerti o attraverso la piccola etichetta Fooltribe.
Così come è impossibile non considerare che i suoi dischi sono totalmente esenti da copyright.
Sì!, Bob Corn rappresenta tutti quei valori (fondamentali) sui quali credo da sempre e sui quali si basa l´esistenza stessa di sands-zine.
D´altronde le numerose collaborazioni raccolte per questo lavoro, provenienti da Elektrolochmann, Three In One Gentleman Suit, Comaneci, Milaus, Musica da Cucina e Sex OffenderS Seek SalvatiOn, e le altrettanto numerose etichette indipendenti che hanno contribuito a pubblicare la versione in vinile misurano con una certa precisione la temperatura al rispetto di cui gode lo Sgarbi nel (ormai non tanto) piccolo circuito del nu-folk made in italy.
In un momento in cui si tende a strafare, e arrangiamenti semplicemente volgari vengono fatti passare per visionari, questo disco si attiene, a dispetto delle numerose presenze, ad una semplicità e ad una essenzialità esemplari. Mai c´è uno scarabocchio di suono in più del necessario e mai vengono ricercate soluzioni pretenziose e/o pretestuose.
E i collaboratori, che come ´presenze´ preziose infestano il disco, contribuiscono non poco alla sua riuscita trasfondendoci dentro un´ombra di malata magia psichedelica e impercettibili iniezioni di contemporaneità. Ma c´è dell´altro. Qualcosa che va al di là della bellezza delle canzoni e di quello che è un lavoro particolarmente inspirato, qualcosa che a che fare con la sincerità dell´uomo che tali canzoni ci propone. Qualche anno fa avrei forse scritto: comprate questo disco ma prima ancora comprate "The Freweelin´ Bob Dylan". Oggi scrivo: comprate questo disco e di comprare i dischi di Bob Dylan potete farne anche a meno. (*)
Le 10 canzoni sono tutte sue, ad eccezione di Cold and gold che è cofirmata da Ahlie Schaubel e With you che è di Majirelle.
Sand Zine
Comaneci
Nel 1914, una bimba di 5 anni viene spedita per posta alla nonna.
Affrancata pagando meno di un biglietto del treno e caricata sul vagone merci la piccoIa Linn, così si chiamava, viene classificata dalle poste come un pulcino di inconsuete dimensioni”.
Dopo “Volcano” uscito nel 2007 per Disaster by Choice, le mille date su e giù per Italia e Europa, Comaneci, in nuovo assetto punk acustico – Francesca Amati alla voce, Glauco Salvo alla chitarra – presentavano così il progetto Girl Was Sent To Grandma’s in 1914, prima collaborazione con Madcap Collective.
Nel frattempo quindi si sono succeduti un lungo tour americano, in compagnia dell’amico Bob Corn, altre date italiane, altre date in Europa, per quindi arrivare all’ultimo tour appena conclusosi, che ha toccato Austria, Rep. Ceca, Germania, Olanda, Belgio e Francia.
Da qui arriva “You a lie“, uscito il 31 ottobre 2009 sempre per Madcap, vero successo mediatico suonato in più di 300 date in giro per il mondo.
Ora, 9 Dicembre 2012, esce il nuovo lavoro che fa già ben parlare di se: UH!
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Se l’Emilia era (è) paranoica, la Romagna cos’è?
Altro, di sicuro. Le sue malinconie sono più caserecce, le sue province nebbiose sciolgono le angosce in fiabe impalpabili, il suo popolo freak tiene sempre qualcosa del giocoliere. Romagna ipnotica, forse: capace di intontire e di meravigliare. I Comaneci, di base ravennate, travestendo di America profonda i loro italianissimi paesaggi, ci danno un disco prezioso, da assaporare con preferenza nelle moltissime province ipnotiche d’Italia.
Ridotti a un duo (Francesca Amati, voce, chitarra classica, tastiera; Glauco Salvo, chitarra elettrica, banjo), i Comaneci, dopo l’ep di quest’estate (“Girl Was Sent To Grandma’s In 1914”), sorta di test di auto-valutazione per apprezzare il grado di affiatamento e per sondare i territori esplorabili, sembrano aver trovato con questo “You A Lie”, dove aggiungono alle cinque tracce lì presenti altri sei pezzi, il loro equilibrio.
Si viaggia nella dolce caligine di un folk intimistico e scarno, ravvivato dalla voce meravigliosa della Amati (molto folksinger americana, con toni caldi quasi black) e dagli interventi calibrati e mai fuoriluogo di Salvo.
Sebbene partecipino membri del Madcap Collective (Bob Corn) e altri nomi di spicco della scena indipendente italiana tra folk e rock d’autore (Pete Cohen dei Sodastream, Paolo Gradari degli Amycanbe, Mattia Coletti, mentre la produzione è affidata a Bruno Dorella, anima di Ronin e Bachi Da Pietra), l’impressione è che le sagome del duo si muovano solitarie in affascinanti sfondi di cartapesta.Sfondi variabili, quelli di “You A Lie”, tra l’idillio rustico e un paesaggio brumoso da murder ballad.
Più scuri sono i pezzi già noti, nei quali Salvo inonda i racconti della Amati con cenni vagamente noisy, per effetti sinistri che a certa spersa subprovincia italiana (dove spesso ai due piace esibirsi) si attagliano alla perfezione; da citare, almeno, la psicotica “On My Path”, tutta raccolta in un breve giro di classica iterato e nelle interpolazioni sconnesse dell’elettrica (notevoli anche il climax dark-folk di “Promise” e “Not”, con sferzate distorte da incazzatura repressa). Il resto del disco scorre nel complesso su toni più distesi. Salvo si limita ad arpeggi delicati e a tocchi lievi, quasi sottovoce, a popolare di piccole delizie sonore i bozzetti a due accordi della Amati: da “Green” (in cui compare, eccezione, una batteria spazzolata) a “Like” (con piano: Shannon Wright si aggira nei paraggi), da “Satisfied Girl” e “Radiation” (alleggerite entrambe dal banjo) alla ninna-nanna che trasforma la dolcezza in inquietudine di “Sleep Baby Sleep”, sembra di essere immersi in una favola lillipuziana color pastello. La sensazione, in realtà, è che i Comaneci rendano al meglio quando spingono sugli effetti drogati, perdendosi in un folklore fuori dal tempo e dalle sottili venature noir. Certo, qui dimostrano di sapersi esprimere meravigliosamente nell´arte dell´haiku (con cui qui raggiungono piccole vette di perfezione, come nella “A Pair Of Glasses” che apre il disco): il prossimo passo, azzardo, potrebbe ambire a una poesia di più ampio respiro (un romanzo in versi, à la Decemberists?), dando più ampiezza alle storie e ai crescendo strumentali. L’intensità del loro suono, già matura, potrebbe esplodere.
http://www.myspace.com/comaneciband
http://www.fooltribe.com/bobcorn/
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