Finalmente ci siamo, le gabbie stanno per essere aperte e le bestie sono pronte a uscire. Negli ultimi due anni i Criminal Jokers non si sono fermati un attimo: hanno suonato ovunque e spesso mettendosi al servizio di altri musicisti che li hanno aiutati a crescere e maturare (gli Zen Circus, Nada e Il Pan del Diavolo).
Tornano ora, con un album che catalizza l´energia degli esordi e la trasforma in nervi.
I toni di “Bestie” sono cupi, grevi, figli della crisi eppure lontani da qualsiasi accenno all´attualità. Parlano di noi, ma lo fanno guardandosi dentro. Figli biologici del punk rock e dell´indie americano di fine anni ottanta, sono tornati indietro scoprendo la new wave e la psichedelia, il suono è diventato più compatto e la scrittura sembra volere prendere mille strade diverse. Non a caso la band capitanata da Francesco Motta e Francesco Pellegrini ha ampliato la formazione fino a diventare un quartetto capace di riprodurre dal vivo le sonorità complesse dell´album.
Dopo una piccola anteprima estiva, i Criminal Jokers non vedono l´ora di tornare sul palco e fare quello che sanno fare meglio: suonare senza risparmiarsi, fino all´ultima goccia di sudore.
Recensione
Pronipoti di Cecco Angiolieri, figli adottivi degli Zen Circus (Andrea Appino, che produsse il disco d´esordio, è sempre ben presente dietro le quinte), i Criminal Jokers rinverdiscono quella tradizione di cantori cinici e ricchi di fiele che in Toscana affonda le radici nella notte dei tempi.
"This Was Supposed To Be The Future" era un grido di allarme, il tambureggiante, ancestrale urlo di una generazione senza coordinate. Pura urgenza espressiva, sebbene non mancassero spunti che potevano lasciare presagire ulteriori evoluzioni della materia. Un affinamento che ritroviamo negli arrangiamenti - sempre e comunque al vetriolo - e nella coralità dei brani che compongono "Bestie", un vero e proprio cantico delle creature sbagliate - nonché dalle fattezze umane.
L´attacco è frontale, e per essere sicuri di non poter essere fraintesi, anche i Criminal Jokers passano alla lingua italiana, mai così scarna ed efficace, mai così scientificamente corrosiva. Mai così in voga, potremmo aggiungere. E mai così necessaria e azzeccata.
Ce n´è per tutti: gli egoisti ("Da Solo Non Basti"), i presuntuosi ("Tacchi Alti"), i falsi ("Cambio la Faccia"), un´intera genealogia di perdenti che vivono in città "sommerse dal fango". O forse, chissà, un solo protagonista in balia di una spirale auto-distruttiva: le chiavi di lettura possono essere più di una.
Corrosivi e immediati, i Criminal Jokers attaccano il sistema in modo frontale. Ogni sillaba è una stilettata al cuore, e la musica ne segna gli umori - neri - tra tappeti elettrici e ballate perverse, macinando folk, rock, punk e cantautorato in una chiave del tutto personale. Il lungo tempo passato in tour con Nada Malanima e la produzione di Max "Stirner" Fusaroli sembrano aver prodotto una selezione naturale tra i tamburi di Francesco Motta, onnivori ai tempi dell´esordio e ora maggiormente sincopati e in generale meno al centro dell´attenzione, e le melodie di Francesco Pellegrini, l´habitat ideale per fare uscire dalle gabbie le bestie che popolano questo incubo suddiviso in dieci capitoli.
Ma questo non significa perdere efficacia sotto il profilo della potenza sonora, ben corroborata da un vasto campionario di effetti corrosivi (basti pensare alle mitragliate che segnano il tempo in "Da Solo Non Basti").
"La fine che ci meritiamo è niente/ per te che non sai morire/ in mezzo a tutta questa gente/ che rimane sola", canta Motta nella title track che apre il sipario. Un breve trattato di nichilismo o, se preferite, il lucido ritratto di una società che va al contrario, un sistema che ha eletto a unico valore la vacuità dell´immagine. I suoni della giungla introducono "Fango", stridendo così con l´immagine di una città "ormai sommersa dal fango/ i nostri pensieri schiacciati dal tempo/ finestre che danno sulla gente/ nessuno ormai può farci niente".
Scene di ordinaria solitudine contemporanea, la spersonalizzazione dell´identità - sempre più omologata, sempre meno presente. Al punto che la scossa può giungere soltanto quando "Arriva la Bomba" che "ti scoppia dentro la faccia".
L´apice della tensione giunge al ritmo marziale di "Da Solo Non Basti", la base elettronica intenta a produrre un frenetico brainstorming che si scioglie sull´eterea chitarra di "Cambio la Faccia", una sorta di via di mezzo tra ballata cantautorale e i Verdena psichedelici dell´epoca "Wow". E´ la chiusura del lato A, la quiete dopo la tempesta (comunque destinata a tornare), il racconto di una metamorfosi dell´uomo-pesce che si smarrisce in un mare-universo.
La seconda metà di "Bestie" cita finalmente una protagonista ben precisa, "Lendra", (anti)eroina costretta a una incessante fuga, non si sa bene da chi o da cosa ("abbiamo provato che vuol dire l´inferno/ Lendra calmati siamo morti da tempo"), in un gioco di chiaroscuri nel quale i cori femminili fanno da contraltare alla ruvidezza rock che contraddistingue il brano. La psichedelia torna a caratterizzare il quattro quarti post-punk di "Tacchi Alti", uno dei punti più alti dell´intero lavoro, maggiormente aperto alla melodia e alla tradizionale forma-canzone. Viceversa, "Adesso Mi Alzo" è un pezzo introverso e sincopato, folle nella trama, noise nel suo balbettante incedere tra riff neri e brevi tratti di puro rumorismo.
In "Occhi Bianchi" l´ossessione lascia il posto alla stanchezza di chi si è arreso, e i Criminal Jokers scelgono la dimensione acustica per cercare di riunire i cocci di una trama allucinata, magari per trovare "un finale diverso/ un finale che non muore nessuno/ dove nessuno dorme/ e gli Dei son dei pezzi di carta". Ma è lo sprazzo di lucidità prima dell´inevitabile, drammatico epilogo.
"Nel Centro del Mondo" è un ultimo atto tremendamente malinconico, una ballad forzatamente dilatata nella quale l´estraniazione è dovuta dall´irrecuperabile distacco spazio-temporale di chi se ne sta andando, per sempre: "Steso sul letto di casa nel centro del mondo/ passano gli anni e la neve mi mangia da dentro/ gli amici dintorno che si bagnano di lacrime/ vicino all´inferno un bambino mi tende la mano/ negli occhi il ricordo di un volto che è troppo lontano".
Nelle città di fiume, talvolta, ci si imbatte negli antichi segni lasciati sui muri per ricordare il livello raggiunto da una piena "storica". Allo stesso modo, basterebbe quest´immagine per trascriverere sulla pietra la maturazione artistica raggiunta - in così poco tempo - dal trio pisano-livornese. Che si conferma, con "Bestie", non solo interessante dal punto di vista musicale, ma anche e soprattutto una delle voci più disincantate e autorevoli della nuova generazione italiana.
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