Nata da un errore di progetto, irrompe sul mercato una vettura ad alimentazione ibrida, ideale per sfondare gli spartitraffico tra i generi con melodie da ritiro patente. Tamburi in pelle, plettri in lega e tastiere a disco, grazie alle quattro teste motrici Eterea Postbong Band garantisce una forte tenuta su palco. Se ne possono trovare sgommate sulla colonna sonora di un videogame di Discovery Channel, su un paio di edizioni dell’Arezzo Wave Love Festival e della Street Parade di Bologna, su qualche goa-party e soprattutto sulle strade che hanno ospitato ignare le corse notturne della fantomatica Operazione Salsa Bianca.
Il loro unico album ufficiale, pubblicato dalla concessionaria Wallace, è parcheggiato tra i migliori venti dischi indipendenti del 2007.
Macchine da scrivere amplificate, chitarre laser, timbro digitale ed impatto analogico uniti in una futuristica carrozzeria multicolore e pensata per le alte velocità.
Se il rock è clinicamente morto, Eterea Postbong Band è la macchina per tenerlo in vita.
Uochi Toki/Eterea Postbong Band
“La Chiave del 20”
CD wal91
Recensioni
Blow Up
Enrico veronese
Il Grande Libro delle Situazioni. Cosa succede se incolli, sbatti, fai premere l’uno sull’altro il suono avariato e percussivo, liquido e circolare, infernale dal vivo degli Eterea con “l’alternativa non riuscita al rap-gangsta” costituita dagli Uochi Toki, progetti entrambi capaci di colpire già alla prima raffica con inedita originalità? Nasce una clamorosa guida alla generazione Boh, fuori dal tunnellll del divertimento-o-o-o, edita da una perspicace Wallace. Il plastico urbano si presenta sotto forma di trama compiuta, dal fast dub della scledense Scle-dance che trasmuta in tamarrata bassoprovinciale di quelle sdoganate da Fare $oldi alle vere “chiavi”, Rotta per causa di Egon e In da club, con Napo protoFrankie che esterna disarmato e non disperato (“lucido come una finestra aperta”), quasi vestisse una telecamera sull’elmetto: la dizcoteca diventa reality per Second Life, citando monete fuori corso e livore anticommerciale. Dal club
alla strada e La colazione coi campioni stanno alle precedenti come La tregua di Primo Levi è per Se questo è un uomo: storie di hangover che centrifugano Vasco e gli 883, culto della fermata al kebab, dialoghi young nostalgist che “ragionano in modo diverso dalle teste che non divergono”. “La chiave del 20” è un crasso manifesto alternativo
autoconsapevole, dove tanto la d’n’b scimmiesca di Brus bros quanto il calembour Bada ai lamenti servono per “fare più danni possibili” nel mondo della “sintesi fatta male, lo styling popolare dello styling di alta classe”. Battiti, giri armonici, loop, occhio ferino, fantasia, lettere da sparo: immancabile
Il Mucchio Selvaggio
Aurelio Pasini
Uochi Toki ed Eterea Postbong Band: forse non ci sono in Italia gruppi altrettanto fuori di testa. Rapper di confine i primi, già iscritti al circolo eterodosso della Burp Publications; istrionici ed imprevedibili avnguardisti rock i secondi, anch’essi con una manciata di dischi all’attivo. Si sono messi in combutta ed hanno convinto il buon Mirko Spino della Wallace – non sappiamo se con le buone o le cattive – a produrre il loro album congiunto: “La chiave del 20”. Il CD è integralmente incentrato sull’impresa – ad alto valore sociale – di alcuni scavezzacolli che si imbucano malvolentieri in discoteca. Con l’utensile da cui il disco prende il nome forzano una porta di emergenza e irrompono all’interno: il loro
unico obiettivo è di opporsi con la propria trasandata presenza al mondo patinato delle ragazze truccate e degli ometti impettiti, caratteristico dei locali da ballo più alla moda. Di là dai suoi risvolti politici, il lavoro deve la propria vitalità alle articolate ed imprevedibili evoluzioni strumentali degli Eterea, la cui forza espressiva spazza via ogni compromesso stilistico, colpendo il fisico e lo spirito. Al contrario, ci si arena sui provocatori proclami anticonformisti degli Uochi Toki, tanto invadenti da supporre che siano stati concepiti ad arte, allo scopo di risultare incredibilmente molesti
RockStar
Fabrizio Galassi
Adesso che il rap italiano è ritornato in prima pagina, nelle grandi radio e nei centri commerciali, adesso che l’hip hop sta diventando una cultura e non soltanto una moda, adesso che Milano sta sfornando rime in continuazione, è arrivato il momento dei Uochi Toki, tra i pochi (se non gli unici) ad avere uno stile proprio, unico (da ascoltare: ‘Gli Batterisiti’). Non è che il duo formato da Rico e Napo proponga musica facilmente digeribile, molti non la ritengono neanche rap ed è forse grazie a questo paradosso che i Uochi Toki si ritrovano in mano “La Chiave Del 20” con la quale
aprire (o smontare) la porta del rap italico. I sermoni di Napo sulle stangate ritmiche di Rico sono state adattate alla musica degli Eterea, la Post Bong Band del Nord-Est, un quartetto che se si fossero formati nei ’70 sarebbero andati a far compagnia ai Perigeo, Biglietto per l’Inferno e Garybaldi. “La Chiave Del 20” è arrivato nei negozi già da qualche settimana, la produzione esecutiva è della Wallace Records che ha avuto il coraggio di pubblicare un album del genere, appoggiata nella scelta dal distributore Audioglobe. Uochi Toki ed Eterea hanno realizzato così un album di concetto, si sono immersi in una discoteca, di sabato, per trarne ispirazione, per carpire momenti, ma anche per rovinare la festa.
Ondarock
Alessandro La Spada
Mirko Spino della Wallace ha l´occhio lungo, e si è accorto che mettere insieme i Uochi Toki, cantori delle mediocrità urbane, e gli Eterea, menestrelli alla corte di Re Patton, avrebbe potuto dare risultati piuttosto singolari. Alla base del lavoro, l´idea che entrare in discoteca scassinando una porta sul retro possa essere un giusto diversivo per un sabato sera dei tanti. E il kebab a mattina calante, beh, il tocco di classe."Rotta per causa di Egon", dei Uochi, è una prosa di proto-rap traballante, declama aforismi linguistico-semantici di inizio millennio su trucioli di ritmiche noisy, come se Merzbow suonasse un disco hip-hop durante un corteo sovversivo. Che i Uochi Toki vogliano graffiare le piccole ipocrisie mondane, più che danzare tra le armonie tuttologhe degli Eterea, è limpido, come è limpido che Napo non scriva poesie in Dolce Stil Novo: i Uochi Toki non celebrano, ma sbeffeggiano, colgono situazioni paradossali
(im)percettebili e le coprono di elucubrazioni, ballano sbronzi tra yuppy wannabe pessimisti e annoiati di riflesso. La loro musica sbraita: campionamenti simil-tetris e abrasioni su basi solite, spruzzi di tastiere che vengono, stanno, fuggono. Napo mitraglia parole, Rico implode musiche. "Non vado ai matrimoni perché non ho nemmeno un pantalone
buono/ Non possiedo camicie/ solo magliette e felpe/": insomma, il vangelo delle mamme del "quando arrivi fai uno squillo, e comportati bene mi raccomando". "In Da club" materializza l´inquietudine di chi in discoteca non riesce proprio a sguazzarci con tranquillità. Le ritmiche sono totalmente oblique, il synth ovattato e filtratissimo. E´ il club grosso dove si trova la gente giusta che conta, la gente che si devasta con classe. Gli Eterea, non avendo il dono della parola, mancando quindi di intelligenza, dal sacro ci riportano al profano. La loro musica dice che tutto è suonabile, e tutto quello che Napo inquisisce, gli Eterea sdoganano. Perché? Perché gli Eterea in un nanosecondo ti fanno ballare la scrivania da dove tu scrivi sul tuo notebook a propulsione nucleare, e un sorriso demente ti apre al mondo, non c´è tempo per le ansie sociali: frullano una quantità impensabile di stili, maneggiano filastrocche circensi tra i Primus e i
MrBungle, schitarreggiano col surf´n´roll, pompando un monocorde "grancassa-rullante" di tastiera Yamaha vintage,
velocizzato da percussioni esagitate. Se appoggi bene il timpano alla cuffia, forse riesci a immaginare che i quattro Eterea hanno anche fatto grandi abbuffate di Danny Elfman (tralasciando un dichiarato omaggio a Badalamenti). No, aspetta, il timpano devi appoggiarlo di più, sennò è ovvio che non cogli. Ecco, così. "Scledance" è un ballo tribale di
matrice Hilight Tribe, la cerimonia del groove, si batta il piede perché iniziano i botti. "Brus Bros" il loro capolavoro, "Babek" il loro graffio oriented (ma per questo, si dica che fecero meglio nei loro esordi). "La chiave del 20" dei Uochi Toki potrebbe finire in libreria come trattato di estetica, o potrebbe venir suonato durante una cerimonia noise. "La
chiave del 20" degli Eterea è pop strumentale camuffato da weird-music, ma chi ci casca è meglio che se ne torni in discoteca. E niente Kebab.
MANGIAMARGOT
"...Appena entrato do subito uno sguardo al palco e inizio ad avere
momenti di panico, sensazione poi condivisa con il resto dei miei
amici: un brivido percorre la schiena vedendo strumenti non
convenzionali e riportando alla mente un concerto in cui il gruppo
spalla ha fatto di tutto per farsi odiare e linciare (non vi dico chi
sono).
Quest’impressione svanisce subito quando salgono sul palco i Mangia Margot, un gruppo che mi ha lasciato letteralmente a bocca aperta:
basso&effetti vari + batteria. Iniziano a suonare tempi assurdi, al
limite dell’umana comprensione (non ho contato un 4/4 per tutti i 30
minuti di esibizione), suoni nuovi escono da strumenti che si sono
costruiti assieme ad un amico(Roberto Zanini), ma il tutto è condito da grandissima tecnica e precisione, oltre che di inventiva. Verso metà concerto guardo il mio compagno di viaggio e affermo che siamo di fronte ad un evento: raramente i gruppi spalla mi entusiasmano, ma questi due
ragazzi di Vicenza, che definiscono il loro sound come post-math core, hanno veramente conquistato la mia attenzione. Di ispirazione palesemente Zu, i due performer non fanno assolutamente sentire l’assenza della classica chitarra, anzi.
Questo mio “sentimento” è largamente condiviso con gli altri spettatori
che applaudono ad ogni giro di batteria o basso e si fanno cenni di
assenso l’uno con l’altro. Spero veramente che qualche producer possa
contattarli e magari metterli sotto contratto perché rappresentano una
luce forte nel buio profondo della scena musicale italiana degli ultimi
periodi."
Enrico Pavan di Radio ImpattoSonoro
I MangiaMargot sono un gruppo musicale dai gusti musicali alquanto strani e imprevedibili. Originari del vicentino, infatti ci porgono all´orecchio un sound che è molto più che indefinibile. Musica a detta loro futurista, a detta mia geniale e molto interessante.
Ho ascoltato alcune canzoni sulla loro pagina di Myspace e affascinato dalle loro note ho recuperato il loro primo album, omonimo. Come immaginavo non mi han deluso, anzi, hanno aumentato il mio interesse nei loro confronti.
L´album inizia con una introduzione lasciata nelle mani di un bambino-dj, il quale ci spiega che ascolteremo una top10; dopo di che inizia improvviso l´attacco sonoro del trio, fra funky, jazz e hardcore: ecco a voi "La Cinque". A essa, sulla scia di quest´onda sonora esplosiva, segue "La Due", pezzo inquietante, soprattutto per le voci assurde che si intrecciano con il groove melodico. "La Tre" rappresenta forse il pezzo più orecchiabile dell´album, fra ritmi e ombre di melodie. "La Sei", sempre fra stupri melodici, presenta ottimi giochi di ritmica, mentre "La Quattro" si lancia in devastanti distorsioni chitarristiche, intermezzate da inaspettate isole di apparente calma. "La Uno", diretta da un walking bass, racconta di un batterista che penso abbia picchiato con le bacchette anche su pareti, persone e animali, prima di lanciare se stesso e gli altri componenti in un crescendo sonico. "La Sette" inizia giocando su stop & go ritmici, producendo interessanti soluzioni, per poi lanciarsi in un noise estremo seguito da bislunghi echi di chitarra che ci portano in toto in un altro mondo, onirico. Stupenda.
Ma non è finita qui, perché dopo la breve "La Nove" che ci risveglia dal relax che potevamo aver provato in precedenza, arriva il piatto forte, e forse anche il più ostico da digerire: "La Otto". Un brano da 30 minuti in cui si succedono tutte le più impensabili violenze musicali, gli strumenti vengono realmente stuprati, in un noise estremo, in cui tutto non è più quel che in realtà è, in cui si perde il contatto con il mondo, si entra in una dimensione altra, cupa e psicotica, completamente irreale. A salvarci è solo la conclusiva voce del bambino-dj, che ci avverte che tutto è finito, e poi tutto si spegne.
Un album stupendo, che però è costretto a pagar pegno nei confronti di molti altri gruppi sperimentali, in alcuni momenti. Comunque, a mio parere un album da 5 stelle, indubbiamente. Perché? Bè, per l´estrema genialità, l´alta tecnica strumentale e una creatività da far invidia a chiunque.
recensione DEBASER
http://www.myspace.com/eterea
http://www.myspace.com/mangiamargot
Dal 1990 restituiamo musica, dai un’occhiata agli artisti che sono passati dal CSC in tutte queste stagioni!
Sii protagonista, esplora e promuovi con noi musica straordinaria!
Il tuo sostegno farà la differenza!
Newsletter
Iscriviti per essere aggiornato su eventi ed attività del CSC!