Io ho davanti a me un sogno,
che un giorno sulle rosse colline della Georgia
i figli di coloro che un tempo furono schiavi
e i figli di coloro che un tempo possedettero schiavi,
sapranno sedere insieme al tavolo della fratellanza
(Martin Luther King, Washington 28/VIII/1963)
Giuseppina Campana
HO ASCOLTATO LA LUNA
Presentazione del libro
Il libro inizia significativamente con la fine.
La fine dell´esperienza di Pina (Giuseppina Campana) nell´agro di Villa Literno, Castel Volturno ed altri paesi in quel di Caserta. Un´area chiamata "Terra di lavoro" perche´ il bracciantato e lo sfruttamento del lavoro manuale sono presenti da sempre.
Pina ritorna definitivamente a Vicenza ma non e´ una fuga ne´ una ritirata, anche se la pressione e le minacce della camorra avrebbero consigliato la salita al nord ben prima.
Pina aveva concluso la sua esperienza di "mama Africa italiana", di creatrice di luoghi dove gli immigrati potessero stare in gioia e serenita´ -per quanto possibile- durante quell´intervallo fra due lunghe giornate lavorative che noi chiamiamo notte.
Dal quartiere Gescal di Aversa alla "grande casa" di Castel Volturno, un comune agricolo di 15,000 abitanti, ai ghetti degli edifici in stato di abbandono disseminati nella campagna ed abitati dagli immigrati, alla "tenda azzurra" prestata da una comunita´ evangelica e montata nei pressi del campo sportivo di San Cipriano d´Aversa, al "villaggio Mandela" si snoda il viaggio alla ricerca di incontrare gli ultimi, i diseredati (adulti e giovani uomini) ai quali l´Occidente, dopo averli impoveriti nel loro Paese, nega i diritti fondamentali in Italia dove approdano premendo per partecipare al banchetto dei Paesi ricchi come loro diritto. Espressione di questa mentalita´ rapace fu il sindaco di Villa Literno che giunse addirittura a chiudere tutte le fontane pubbliche pur di negar loro l´acceso all´acqua.
Pina parte di casa nel 1982, a trentadue anni. Lascia la sua terra, la sua famiglia per andare agli altri; incontro che non si puo´ fare se non si lascia almeno un po´ di noi stesi (una sorta del "Lascia la tua terra e va...." di Dio ad Abramo).
Pina e suo marito Nicola fondano la comunita´ "La Roccia", un nome dal profondo significato circa la determinazione e capacita´ di resistenza.
Il libro pero´ e´ anche fatto di calli e di sudore, della fatica degli immigrati che si spezzano la schiena per raccogliere i pomodori, "l´oro roso" , che troviamo sulle tavole di tutta Europa. Anche Pina ed i suoi parenti si spezzarono la schiena su quei campi, e non per provare un´esperienza nuova.
Ben piu´ del dantesco "...tu proverai come sa di sale lo pane altrui..." perche´, accanto alla umiliazione di venire trattati solo come braccia senza cuore e senza intelligenza cioe´ quasi schiavi, stava la durezza fisica del lavoro sotto il sole, lo sfruttamento di chi ti dava meta´ del pattuito, l´ostilita´ ed il razzismo violento ed aggressivo da alcuni strati della popolazione aizzata ed aiutata dalla camorra e dai fascisti.
Il libro ci mette a contatto con gli immigrati, non nei cliche´ preconfezionati dalla maggior parte di stampa, televisione e della politica: cioe´ una massa da gestire, da sfruttare, da reprimere per far funzionare al meglio la nostra economia e quindi mantenere il nostro benessere.
Pina non descrive situazioni di massa ma di singoli, di umani come noi, uomini e donne, bambini, con i loro sentimenti e speranze personali, con le vilta´ ed i difetti propri di tutti, propri del "mestiere di Uomo" Il libro rende gli immigrati nella,loro materialita´ individuale e cio´ li rende uguali. E´ la concretizzazione del valore di uguaglianza sancita dalla nostra Costituzione e da altra "Carte" basilari per l´Umanita´ come la "Dichiarazione dei diritti dell´Uomo".
Il libro non ha un andamento in crescendo come spesso succede. E´ un ritmo costante, lineare; come una musica con poche note ed un paio di accordi qual´e´ la musica popolare. E´ un proseguire, un arrestarsi e riprendere in luoghi diversi ma sempre al medesimo ritmo. E´ come salire una montagna: il passo non deve essere ne´ lento ne´ veloce ma costante e deve riprendere tal quale dopo le soste. Avvenne cosi´ al rientro temporaneo di Pina a Vicenza nel 1990 per rivedere la sua famiglia; il padre era morto da poco. Allora -nella nostra bella citta´ - gli immigrati dormivano nella sala d´aspetto della stazione ferroviaria: uomini, ammassati a terra e su qualche panca; nel nome della democrazia (quella occidentale, ovviamente) e del libero mercato che si interessa solo di sfruttare con il massimo profitto la mano d´opera ma intenzionalmente ignora come vivono le famiglie di chi opera ad un tornio o ad un bottale. Pina non puo´ prendersi del tempo perche´ come scende dal treno incontra degli africani che dalle zone di Caserta, smessi i pani dei raccoglitori di pomodori, avevano indossato la tuta blu.
Uno spaccato non solo Nord/Sud del Mondo ma anche Nord/Sud d´Italia.
La chiesa. Come non parlare di chiesa in Italia.
Il vescovo di Aversa mons. Gazza, che aveva fatto il missionario in Africa, rappresento´ un´esperienza di pastore aperto ed attento agli ultimi. Non solo per aiutare ma anche per accogliere e costruire ponti verso i "fratelli dell´Islam" che erano cosi´ numerosi fra gli immigrati. Conobbe anche don Giuseppe Diana, parroco di San Nicola nel comune di Castel di Principe, dominato dalla camorra. Egli cercava di educare i giovani, di toglierli dalla strada dove erano facile preda della camorra. Parlava di giustizia, denunciava l´oppressione e lo sfruttamento praticate dai proprietari terrieri, dai potenti locali e dalla delinquenza organizzata, loro alleata. Fu facile bersaglio della camorra il 19 marzo 1994 mentre si accingeva a celebrare la Messa. Come per mons. Romero, vescovo di San Salvador, il 24 marzo 1980. I fascismi -si tratti del mandante omicida salvadoregno, il colonnello D´Abuisson o della camorra, che e´ una forma attuale di fascismo- finiscono per comportarsi nel medesimo modo con gli uomini avversari.
Di ambedue la chiesa ufficiale, la gerarchia hanno perso la memoria.
Fu questa la chiesa conosciuta quando mons. Gazza lascio´ la casa grande ad un´altra diocesi. Il suo successore fu freddo e scostante e "La Roccia" fu cacciata dalla "casa grande" di Castel Volturno. Il grosso edificio dove la comunita´ di immigrati aveva la sede venne assegnato alla Caritas locale come si seppe che la Regione aveva un progetto di investire 885 milioni di lire nel "Progetto persona" presentato da "La Roccia",
"All´Idea di quel metallo...." canta il barbiere di Siviglia. Ma alla Caritas quel metallo, divenuto lire, suggeri´ non idee vulcaniche ma una prosaica e gretta cacciata de "La Roccia", ovviamente con il benestare del vescovo. I soldi non vennero, perche´ la stessa "Roccia" denuncio´ il sopruso e la Caritas abbandono´ l´edificio che non ospito´ piu´ gli immigrati e scivolo´ nel disuso, diventando covo di spacio e prostituzione.
Ma gli immigrati non erano scomparsi. Invece delle stanza e dell´allegria della "casa grande" si sistemarono nelle case diroccate, nelle porcilaie fra Castel Volturno e Villa Literno.
In quest´area l´autrice, suo marito, i volontari si trovarono di fronte, come mai prima, l´ostilita´ dei locali, timorosi del diverso, che espletava un lavoro da essi ritenuto proprio ma in realta´ rifiutato ed evitato per la sua durezza e la scarsa retribuzione.
Ma si trovarono a dover affrontare anche l´opposizione del clero e di parroci che -stando alle loro affermazioni, poco credibili- temevano di vedere i propri fedeli catturati dalla fede musulmana o di vedersi soverchiati da grandi comunita´ di immigrati. Timori privi di fondamento che denotano la poverta´ e l´arretratezza sculturale ed umana alle quali e´ ignoto il gesto, anche cristiano, della accoglienza.
Pero´ a Caserta giunse come vescovo mons. Raffaele Nogaro, coraggioso e pacifista, che si schiero´ contro l´uso dei miliari italiani in Afghanistan ma, soprattutto, contro i soprusi della camorra, contro la legge Bossi-Fini, che apri´ un dialogo con i musulmani ed aiuto´ direttamente e tramite vari comitati gli immigrati ed i poveri scegliendo di stare dalla loro parte. Egli aiuto´ direttamente anche "La Roccia" regalandole una fontana. In questo clima varie parrocchie della zona risposero positivamente alla colletta effettuata per far fronte alle necessita´ del villaggio Mandela.
In quel vivere caotico ed alla giornata Pina non manca di apprezzare la natura selvaggia di alcune plaghe che agli africani ricorda un po´ la loro terra. E´ l´Africa italiana con "mama Africa Italiana" che si manifesta piu´ per la molteplicita´ dei dialetti e delle provenienze che non per la natura.
Ma l´Africa e gli africani non sono bene accetti e comincia la reazione razzista con le autorita´ alla finestra, come al solito.
Prima ombre misteriose e minacciose invadono di notte il campo Mandela rovinando le coltivazioni, uccidendo un cane e cercando di spaventare con degli spari.
Po la solita accozzaglia fascista di MSI-DN provoca un primo incendio in concomitanza a volantini e manifesti che incitano all´odio razziale ed a cacciare i "neri" con l´incendio del "ghetto roso" a colpi di molotov.
Lo sciopero della fame portato avanti da Pina e da alcuni dei volontari come protesta e richiesta di intervento riparatorio da parte delle autorita´ -che non avevano vigilato- arrivo´ al ventitreesimo giorno ma dovette essere sospeso perche´ le condizioni di salute rischiavano gravi compromissioni.
Con questi episodi e gli altri che seguirono finisce la fase allegra, dura e faticosa ma con la coscienza di potercela fare, anche se difficile.
La comunita´ era cresciuta, si era affermata, dava certezze e coscienza di se´ agli immigrati, era sempre piu´ conosciuta in Campania ed in Italia grazie ai ripetuti servizi giornalistici anche da parte di giornali e TV nazionali. Nel 1994, in occasione del G7, fu aperto un Forum antirazzista permanente della Campania, con la partecipazione della Regione, sul tema "Oltre il ghetto".
E questo disturbava i potenti locali e la loro camorra che si impegna criminalmente in prima persona. Prima un manipolo di questi delinquenti con il loro capo (l´ometto, un piccolino feroce) circonda Pina vicino al ghetto rosso e la minaccia e poi altri le puntandole le armi. Ma fanno un buco nell´acqua perche´ Pina -pur sentendosi stringere il cuore fino a dolerle, non da´ segni di paura o di cedimento: possono estinguere il suo corpo, dice loro in buona sostanza, non le idee e le prospettive comuni a molti.
Arriva poi nel settembre 1994 il secondo e ben piu´ grave incendio della bidonville del ghetto rosso appiccato con la complicita´ di un infame, un africano, un certo J.
E dopo il danno le beffe. Il piccolo capo camorrista dirige le ruspe che spianano i mozziconi di muri anneriti ancora rimasti in piedi. A chi altri potevano rivolgersi le istituzioni e non alla delinquenza organizzata?
Quindi, piu´ numerosi e sempre armati, prendono d´assalto il ghetto roso e sparano contro un africano sotto gli occhi di qualche (inutile) carabiniere.
A suggellare queste nefande opere ci pensa il ministro Maroni, Lega Nord, (e´ sempre quello di oggi, della dissuasione ai medici di curare i malati cosiddetti irregolari, della tasse di 200 ? sul permesso di soggiorno, delle ronde padane contro gli immigrati). Come sua profonda aspirazione egli reclude gli immigrati dell´area casertana in due grandi carceri: i centri di accoglienza, cioe´ le tendopoli, di Capua e di Caserta organizzati non meglio di uno dei ghetti di Villa Literno ma dove gli immigrati erano controllati e limitati nella liberta´ di movimento.
Ma, come succede in certi film, se una generazione inizia un´opera buona, da´ il massimo di se´ ma non riesce a completarla, ecco la generazione piu´ giovane che, avendo imparato da chi l´ha preceduta ed avendone assunto le motivazioni profonde, prende il testimone e prosegue la corsa.
La comunita´ "La Roccia" non si estingue. Sotto altro nome "Comunita´ Capodarco di Taverolo:I feliciani" Tony (l´ex obiettore) e Fortuna, una volontarie, continuano a lavorare al progetto di "grande comunita´ " che all´inizio mosse Pina a lasciare casa e famiglia di Vicenza ed a tuffarsi nel casertano.
http://www.mama-africa.it
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