Luca Bassanese, cantautore fuori dagli schemi conosciuto ai più dopo la vittoria del "Premio Recanati-Musicultura" per la miglior musica e l´uscita del suo album "Al Mercato" di successo per pubblico e critica, sempre pronto a mettersi in gioco nel suo caratteristico ruolo di artista istrionico, riflessivo, dalle importanti capacità vocali ed interpretative, interpreta: "L´Italia dimenticata", uno spettacolo di Teatro-Canzone che affonda le sue radici (come nella tradizione Gaberiana) in vari linguaggi, dal teatro mimico, alla musica, alla parola come "portatrice di pensiero ed evocatività".
La società dello spettacolo, ora come ieri. La società dello spettacolo, sulla quale Guy Debord già aveva scritto nel 1967. La società dello spettacolo, da leggersi: della corruzione, del trash, dell’horror vacui, del pressapochismo, della tristezza, dei carrocci, della televisione, degli antidepressivi presi come ricostituenti. In queste condizioni si può, ancor oggi, riuscire a parlare di amore senza insufflare poderosi moti di stizza nell’ascoltatore o, peggio ancora, lanciarsi in cavalleresche digressioni del tutto sterili ed inconcludenti?
Luca Bassanese non è un personaggio della società dello spettacolo. Tutt’altro. La sua figura da prestigiatore, da novello De Andrè, da raffinato interprete del melting pot triveneto (“Al Mercato”, 2006) sa di mattatore a tutto tondo. Sia che si tratti di rispolverare i fasti antichi del passato, con il progetto “L’Italia Dimenticata” in omaggio a Domenico Modugno, sia che si tratti di riversare su un blog pensieri, immagini, sensazioni di una mente, la sua, in continuo riflettere sul mondo circostante. Anche la sua musica ne riflette bene la personalità: songwriting fresco ed attuale, con accompagnamento musicale fortemente ancorato, tuttavia, alla tradizione folk. Un bel dilemma, eh?
Dietro “La Società Dello Spettacolo” non c’è il solo nome di Luca Bassanese, impresso a grandi caratteri sull’artwork, e qui impegnato a ricoprire ben tre registri vocali (baritono, tenore e contralto). C’è, altresì, una squadriglia di musicisti di prim’ordine, tra decine di fiati, strumenti esotici, chitarre, violini e splendidi arrangiamenti curati dall’onnipresente Stefano Florio. C’è, infine, anche l’attore Vittorino Curci, qui impegnato in brevi ed intensi monologhi teatrali (“Cap. I”, “Cap. II”, “Cap. III”, “Cap. IV”) che danno un’uniformità quasi concettuale al disco e ne legano fra di loro le parti essenziali.
Così, ecco che un lavoro nato in tempi relativamente rapidi (poco più di due anni) e dalla durata ridotta (mezz’ora circa), invece di servire da breve intrattenimento usa e getta, si trasforma in qualcosa di straordinario: un caleidoscopio di suoni, colori, brandelli, sentimenti, ogni volta centrifugati in maniera differente attraverso quella sensibilità rustica e paesana tipica delle colorate feste campagnole e una fitta rete di strumenti, sempre intenta a creare nuovi scorci. Impressionante per forza ed espressività, in taluni frangenti, l’estensione vocale del cantautore vicentino, che raggiunge impostazioni quasi liriche nella drammatica “Guernica”, resoconto fanta-fiabesco del tragico bombardamento sulla cittadina basca nel 1937 visto dagli occhi delle vittime, dove mandolini e violoncelli si uniscono a tessere un sottofondo di acuto pathos (“Adelina scendi giù in cantina che è arrivato l’uomo nero/ quello non ha tempo di pensare che sei ancora una bambina/ Ovunque ad ogni colpo di mitraglia conta solo la fortuna/ Dio ha lasciato il posto al suo scudiero, è arrivato el bombardero”).
Ma “Guernica” non è l’unico episodio felice de “La Società Dello Spettacolo” che, pur scorrendo via tranquillo, immune dalle gravezze post-letterate che spesso affliggono i nuovi cantautori, presenta una serie di brani impegnati sia a livello musicale sia a livello concettuale.
Eccellente la drammaturgica marcetta folk di “L’Amore Disperato (Sempre Vincerà)”, che parla di due giovani, Anna e Manuel, e del loro sentimento, più forte di qualsiasi barriera, razziale e non (nel testo viene citata anche la famigerata Via Anelli, zona dell’hinterland padovano salita tristemente agli onori della cronaca). “Va Tutto Bene”, storia di un matrimonio qualsiasi, colpisce per il suo riadattamento strumentale ad un malinconico ibrido gypsy/klezmer del tutto alieno alla parvenza di gioia che accoglie lo champagne stappato in apertura. Cori baritonali, pianoforte, clarinetti e tube conducono invece “Via La Morte” su binari già cari, anche se alla lontana, ad Angelo Branduardi.
È tuttavia incredibile constatare come, ad ogni ascolto, l’album si schiuda ogni volta un po’ di più, rivelando costruzioni sempre maggiormente curate ed efficaci. “Santo Subito!”, al proposito, è veramente straordinaria: una volta passata la sbornia per il circense arrangiamento di fisarmonica, violini e percussioni, che vi farà certamente saltare sul posto, si pone attenzione ad un testo che, solo ad una prima lettura distratta, sembrerà forse nonsense, e che invece racconta dell’impotenza di tutti i giorni nel dover essere sempre all’altezza della situazione, nelle circostanze più disparate (“Il mondo mi voleva Santo Subito!/ L’inganno mi voleva Santo Subito!/ Mamma mi voleva Santo Subito!/ Anche il Papa mi voleva Santo Subito!”). Autentica perla e pezzo migliore è invece “Canto”, chiosa nostalgica sorretta da una bellissima linea di clarinetto e da un tappeto di mandolini sullo sfondo.
Nella “Società Dello Spettacolo” c’è da rimanere ammaliati, vi avvertiamo. Solo la conclusiva, pianistica “Ritorno A Casa” potrebbe essere dispensabile. Ma, in un mondo dove l’elargibile impera, signori miei, questo è un colpo gobbo. Consigliato.
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