Menrovescio:
Dei Menrovescio sottoscriviam sin da subito la predisposizione a sposare la soluzione strumentale integralista. Paradossalmente il nome che si sono scelti fa più pensare a quei gruppi hard-rock con il cantante cafone che caga la minchia alle ragazze in prima fila alle varie feste della birra. Ora non sappiamo se il loro chitarrista o il bassista siano dei gentleman dal vivo, di sicuro nel loro Burning the sun i nostri hanno spunti all’altezza di Mogwai e Red Sparowes. [...] Suoni secchi e quadrati provenienti soprattutto dal bagaglio di ascolti evidentemente legato alla psichedelica degli anni ’70, ma anche al metal di belve disumane come gli Isis (fino a Oceanic) o a un certo tipo di jazz, considerando le trovate aperte e originali del batterista.
Dresda:
Come un fulmine a ciel sereno il prode Matteo Casari di Marsiglia Records stanotte ha fatto pervenire -da perfetto befano in ritardo- una calza piena di dolce carbone nella mia mailbox last.fm di bambino cattivo. Le sembianze del minerale fossile sono state assunte per l’occasione dai Dresda, band genovese che sulla piattaforma più cliccata per associarsi ai concerti ha messo in libero scarico il suo nuovo lavoro “Pequod“: cinque tracce strumentali di varia lunghezza ma recanti il medesimo umore, il più indicato in questa temperie di gelo e pioggia. Musica plumbea, ma senza le indulgenze della cameretta che proteggono: non l’usuale postrock malato che dalle parti dell’etichetta ligure è di casa (in condominio a numerosi altri suoni), bensì una sorda tempesta umorale a permeare l’iniziale Città di vetro, lunga elegia dei giorni andati, nostalgica di pianoforte e case tedesche più di quanto dica il moniker bombardato. Quando gli strumenti salgono, la batteria spazzola gentile chiedendo permesso per prendere via via sempre più piede, la chitarra accompagna un flusso già disegnato che immerge l’ascoltatore nel grigio domestico, per una volta non comoda e indulgente campana di vetro: in lontananza rumori d’industria , sequenze fotografiche, ipnosi in reprise dal corpo ineludibile fino all’aspirapolvere dentro la “centrale elettrica”. Se il brano introduttivo ha buon gioco nell’ambientare l’ascoltatore, la seconda traccia Il grande macchinario della notte si muove circospetta restando inizialmente ferma su se stessa mentre sale il respiro, il campo d’azione, i field recordings e un finale imprevisto. L’eterno ritorno dell’uguale apre battente e modestamente marziale fin che non subentrano effetti di chitarra sciabolata, pesa, reduce da scorie di metallo probabilmente affinate nel pezzo precedente. Tanto questo è il brano che convince meno, così classico, così fuori luogo rispetto agli altri, quanto La stanza e l’orologio abita il cinema onomatopeico pieno di senso, che incrocia un clone di Mimì Clementi a cui è di troppo il doppio sussurrato: la chitarra twang del western sormonta un ticchettio altrimenti molesto e ne apre le ipotesi di malinconico prolungamento retrò. Chiudono i quattordici minuti diAttraverso lenti colorate, atmosferici e cangianti, forse troppi nonostante i momenti-Constellation che si dipanano entro la consueta trama di attese, quintessenziali nella storia del genere.
MENROVESCIO
MELTIN´ POT_Settembre_2009
Ottimo album per i Menrovescio, in sospeso tra strumentale e psichedelico. Il loro album d´esordio, l´autoprodotto “Burning The Sun”, si snoda in 36 minuti di cattiveria agonistica post-rock mescolata ad una riflessività che pone le sue basi dentro il noise “puro”, se può definirsi puro un genere che nasce dalle contaminazioni dei fratelli maggiori degli anni ´70 e ´90. “Burning the sun” è la declinazione che il trio composto da Guido Morello (basso), Riccardo Zulato (chitarra) e Andrea Stella (batteria) dà alle scure giornate invernali del nordest, nello scorrere delle 6 tracce che compongono l´opera, 6 tracce che sono altrettanti capitoli di stati d´animo che cambiano, giorni che passano, sfide non concluse e foglie che cadono dagli alberi. Scarna la produzione, il cd è infatti registrato con poche risorse e purtroppo si sente, visto che una “botta” maggiore avrebbe aiutato nella fruizione e nel godimento della resa del colore sonoro della band veneta; attenzione però, si parla solo di un problema di pienezza sonora e di maggiore brillantezza nell´uscita volumetrica delle tracce, non di missaggio o di scelta della paletta sonora. I Menrovescio sono un bel trio e suonano tutto senza l´ausilio di macchine o di trucchetti che i conoscitori di Pro Tools conoscono: anche l´esecuzione è una presa diretta molto cruda, senza ritocchi o aggiustamenti vari in fase di editing e mixing. L´unico appunto forse è sull´esecuzione che ogni tanto è leggermente “sporca”, anche se non escluderemmo che sia volutamente così, proprio per lasciare quel tocco di naturalezza in più al disco. Quello che sentite sul loro myspace o nel video di “Headphone Era” è la riproduzione fedele di ciò che apprezzereste ad un loro concerto. Perchè se apprezzate gruppi come Mogwai, Giardini di Mirò, Sonic Youth e 65 Days of Static di certo vi piaceranno questi ragazzotti di vicino Vicenza.
BLOW UP_Giugno_2009
Post rock convincente e non privo di certa eleganza, che gravita nell´orbita di This Will Destroy You o God Is An Astronaut. C´è qualche passaggio che li rivela ancora un pò acerbi e alcuni spunti appaiono leggermente derivativi, ma il disco nel suo complesso si sviluppa in modo più che convincente, mostrando buone prospettive di crescita. Basso e batteria danno nerbo alla struttura mentre la chitarra esalta gli sbalzi d´umore e le melanconie, ammantando ogni brano di sofferto romanticismo.
KATHODIK_Giugno_2009
I menrovescio sono un trio veneto, nato due anni fa, che ha esordito con questo lavoro, composto di sei tracce. Il gruppo è un classico power trio: chitarra, basso e batteria, nessuno dei tre canta, ed il sound con il quale si esprime ha come base il post rock, con molte variabili. La contaminazione ed il noise sono i principali elementi presenti nei trentasei minuti di questi piacevolissimo lavoro, nel quale i tre veneti dimostrano di avere moltissime potenzialità. Tra le frecce presenti al loro arco i Menrovescio hanno il lieve funk-math in progressione noise di Burning the sun ed il noise con le derive dei Neurosis di Eclipse, le chitarre taglienti della lunga ed avvolgente Tears of lies, nella quale sono accostabili ai Fugazi meno irruenti. Affascinante ed intrigante risulta poi Cyanure, l’unica accompagnata dalla calda voce di Francesca Morello, nella quale il tappeto post rock si lascia calpestare dalla nevrosi instabile, nella quale compaiono elementi del sound tipico di The Ex. Questo “Burning the sun” lascia ben sperare al noise italiano.
http://www.myspace.com/wearedresda
http://www.myspace.com/menrovescio
http://www.myspace.com/thesuperburritos
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