“Come faremo ora che il raccolto malato è andato perduto?”.
La voce si spezza, le gambe tremano, il cuore torna a battere dopo un’inizione letale. Ed è paradossale, ma è così. Come la vita che ti prende a calci e tu che al posto di rotolare dal dirupo come un tronco morto e sbattuto e fiacco e spento, ti rialzi e rifiorisci corroborato da una dose di lacrime esagerata e ingiusta. Perchè “metti che una volta qui sia tutto facile”, ecco, mettilo, una volta.
Sono tornati i Non Voglio Che Clara e questo nuovo disco è un pugno allo stomaco. Maestoso, composto con un talento che in queste tracce si apre in tutta la sua strabiliante bellezza. Che esplora ancora una volta i crismi del cantautorato italiano con ascolti che vanno ben oltre la tradizione italiana in senso stretto (e ghettizzante) e raccolgono l’amore per sonorità invero più britanniche, europee, internazionali. Il respiro del mondo dentro un pianoforte di una cittadina di provincia, e viceversa. E “metti che lei ad un pianoforte non sa resistere”, piovono canzoni che abbracciano il De Andrè di “Non Al Denaro Non All’amore Nè Al Cielo” e i Black Heart Procession di “Two” (come in “L’Avaro”), Smiths e Tenco, Endrigo.
Fabio De Min riparte dall’epoca della canzone italiana sanremese, quando grandi compositori scrivevano grandi pentagrammi, non come oggi dove scarsi compositori scrivono scarsi pentagrammi che dovrebbero suonare dobloni ma semplicemente non suonano. Pone molta attenzione alle dinamiche, agli arrangiamenti, alla cura del dettaglio. Ma non è semplicemente uno che ha deciso che il presente faccia schifo mentre il passato au contrair non abbia che favole fantastiche. I reazionari non hanno i coglioni, questo si dovrebbe sapere. De Min invece ne ha a iosa nonostante il suo aspetto decisamente poco costantiniano, e con la testa piegata attorno al microfono fa scattare la scintilla e accende storie in cui ci si rispecchia. Parla di amore. Di donne. Con lo sguardo affascinato di chi ne coltiva il mistero e ne subisce l'assenza. Parla al singolare ma senza individualismi, se serve si proietta al femminile come in “Sottile”, dove Syria compare inaspettata e convince. Oppure abbandona l’autunno e lancia la domenica primaverile di maggio in “Troppi Calcoli”, ed è impossibile non battere il piede. La fascinazione dello sport (in “L’Oriundo” e “Questo Lasciatelo Dire”) si dipana attraverso le pose degli atleti, lontane e statuarie, il campo da calcio e la piscina diventano luoghi di vita dove l’intrecciarsi di sguardi e il movimento dei corpi è scansione emo-temporale. E’ un disco per gente che osserva, aspetta, scruta, soffre. “Sarò il primo a volerti salutare e sarò l’ultimo ad andare via”. Ama. Si consuma. Profondamente Vive.
“E’ una questione di qualità”, cantava Santo Ferretti, e so che un tale accostamento potrebbe sembrare inconsueto, ma i Non Voglio Che Clara rappresentano davvero una magnifica presenza per la canzone d’autore italiana. Poi, ad un certo momento, con naturalezza, hanno tirato fuori un album - questo - impressionante.
Riferimenti: luigi tenco, phil spector, scott walker, burt bacharach, the smiths, beach boys
Recensioni:
Se prima erano grandi ora i Non Voglio Che Clara, ora si scoprono grandissimi, al punto che la dimensione indie è gia riduttiva, specie se intesa come audience gere-razionale. La scrittura di De Min possiede le frecce di Cupido, che a qualsiasi età aspetta un metodico esegeta coi guanti, cui affidarsi per divampare inarrestabile…vale davvero la pena innamorarsi, e sforzarsi di non chiudere una storia anche solo per venire travolti sul vivo –L’oriundo- da questi sonetti accorati. Aznavour, Bindi e Ciampi (Piero, che affiora in L’avaro) si uniscono a Tenco ed Endrigo nella galleria dei tutelari, ma ormai si può parlare tranquillamente di stile –Clara senza urtare alcuno. Un nome da signora, In un giorno come questo. Chi ha a cuore la canzone italiana si aggrappi a loro come a uno scoglio, domandandosi se sia ancora il caso di parlare di musica “leggera”; il gradevole rischio è imbattersi in un futuro classico come Cary Grant, worship da fazzoletto: “e non so immaginare altra via che non sia la tua scia”. …E poi via, portati dagli archi…Tre metri sopra la realtà da strapazzo, dalla quale le distanze si marcano soltanto ponendo paletti. (Blow Up –aprile 2006)
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