Era dai tempi di Discobracco degli Inti Illimani che non si assisteva ad una svolta artistica tanto audace da parte di una band della scena musicale lombardo-veneta. Fin dalla prime note, infatti, Il Ritorno dei Lanzichenecchi si pone come un album destinato ad alimentare il dibattito: se sia giusto, in tempo di crisi, permettere la pubblicazione di quello che il New Musical Express non esita a definire “Il più grande attentato alla pubblica morale dopo il bianco macchiato china”, testimoniando peraltro l´innegabile influenza del folk-rock berico nel panorama internazionale.
Quello che è chiaro a tutti è che questo secondo lavoro dell´OPB vuole essere, a distanza di quattro anni da Farabutti e Faraboloni, la cronaca di un periodo di cambiamento, tanto personale quanto soprattutto politico e sociale. La città di Vicenza non è più la stessa: il Sartea ha cambiato gestione, Carletto ha comprato la macchina per il caffè, e Arrigo Abalti non è più assessore alle politiche giovanili.
Il cantautorato vicentino medio è disorientato e privo di punti di riferimento: c´è chi si è rifugiato nell´orticoltura; chi scrive libri di poesie; l´Osteria Popolare Berica cerca di rispondere alla crisi con una svolta elettrica paragonabile, scrive Piero Scaruffi, “al suono della scarpa di Kruscev battuta sul banco dell´ONU”, scoprendo sonorità di frontiera e spostando lo sguardo verso il Lontano Ovest. Perché non vi è strategia migliore, per resistere all´avanzata di un esercito conquistatore, che sfidarlo sul suo stesso terreno, in un atto di “appropriazione e sovvertimento di una cultura egemone e neo-imperialista”. Ecco dunque che accoppiarsi da sobri su una 2CV celeste all’ombra di un campanile diventa atto rivoluzionario e profetico allo stesso tempo.
Dio è morto, cameriere un altro spritz.
Ma il nuovo sound dell´OPB è anche la sanguigna testimonianza della crisi interiore di uomini al bivio, rivoluzionari da divano alla strenua ricerca di una nuova Osteria al Centro di Gravità Permanente, in perenne transumanza fra le Grancare Alte e Ponte Marchese, in guerra con Dio, Calderoli e il Vaticano, alla stregua di lanzichenecchi ubriachi in libera uscita una domenica pomeriggio di settembre, a caccia di un villaggio globale da razziare e di un Rosso della Casa degno di tale nome. Nonostante l´apparente eterogeneità dei temi trattati, infatti, Il Ritorno dei Lanzichenecchi va ascoltato come un concept album: dalla saga di Boemondo alle seghe di Cumpay Antonello, passando per il furore anticlericale del compagno Stalingrado, il tema del disco è rappresentato dal cambiamento, dalla ricerca di nuove certezze in cui credere. Boemondo è grande e Pippo Baudo è il suo profeta.
Ma l´OPB, rifuggendo sia il dogmatismo acritico che il misticismo millenarista spicciolo, non intende né fare proselitismo, né porsi avanguardisticamente alla testa di chicchessia movimento: si limita a suggerire con un impercettibile cenno del capo la direzione da seguire.
Loro vi seguiranno dopo, quando riusciranno ad alzarsi dal divano.
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