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Edda, voce dei Ritmo Tribale negli anni ’80 e ’90, torna sulle scene come solista nel 2009 con il folgorante debutto “Semper Biot”. Accasato alla Niegazowana records da allora, non si è più fermato: dopo l’EP “Edda In Orbita” del 2010 ed il secondo full-length “Odio i Vivi” del 2012 esce ora il terzo sorprendente capitolo dal titolo “Stavolta Come Mi Ammazzerai?”.
“Ti taglierò la gola”, rispondeva invece Gian Maria Volonté a Florinda Bolkan nel capolavoro di Elio Petri “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, da cui è tratta la domanda che dà il titolo all’album.
“Tu mi fai morire”, “Tu mi uccidi”, “Così mi ammazzi”, “Muoio per te”: sono espressioni che si usano spesso nei rapporti affettivi intensi, anche all’interno della famiglia, fulcro di amore primordiale ma anche di conflitti, emozioni difficili da gestire e frustrazioni – appunto – micidiali.
Nella foto anni Sessanta di copertina la mamma, la “vera” Edda è attorniata dai suoi bimbi: indicato dalla freccia, Stefano (il nome d’arte è preso proprio dalla madre), e poi il gemello Luca e la sorellina Claudia; il papà Adriano è dall’altra parte della macchina fotografica. Un ritratto di famiglia. Delineato come un colpo di mannaia in “Coniglio Rosa”: «Ho già ucciso mio fratello, di me è molto più bello. Per finire devo dire ho anche una sorella. Claudia è morta poverina, oh no, oh pora stela! Che famiglia di dannati, i Rampoldi io li ho amati, matti».
Un amore così doloroso da sembrare quasi odio per la sua irruenza devastante («io c’ho voglia di uccidere»). Ben due pezzi dedicati ai genitori e per niente lievi: “Pater” («Tutte le volte che vedo mio padre, esco di casa con la voglia di ammazzare») e “Mater” («Sono un figlio di puttana, la mamma è quello che è»).
Dice Edda: «Penso che se una persona veramente ama, allora non fa figli, non condanna altri alla stessa pena se solo ha un minimo di decenza. Mi viene quasi da dire meglio chi ti dà la morte, di sicuro è più misericordioso di chi ti mette al mondo».
Ma non ci si faccia trarre in inganno: l’odio non è il leitmotiv. Semmai è lo sfogo e la rabbia esistenziale di un ipersensibile che non ha mai smesso di cercare una giusta collocazione al mondo. C’è, invece, amore in tutte le sue forme, da quello carnale di “Ragazza Porno” a quello tragicamente romantico di “Tu e Le Rose” («Ho il dolore di non aver saputo amare te/ Nessuno però potrà portarmi via l’amore di averlo fatto davvero con te») a quello non corrisposto di “Saibene” («Mi ucciderai e poi mi lascerai»).
“Stellina” è un’autentica hit che «ti dà la scossa e ti esce dalle ossa», parafrasando il testo (piuttosto crudo).
Edda usa il linguaggio delle viscere, senza schivare le parolacce, eppure non risulta mai volgare o fuori luogo. Questo succede perché ha l’animo assai più candido di chi parla pulito ma è sporco.
Nei testi ci sono tante realtà scomode da cui spesso si distoglie ipocritamente lo sguardo: incesto, pedofilia, eroina, pornografia, violenza, anoressia, malattia (“HIV”). “La gioia non è possibile e allora fammi soffrire”. Ci vuole coraggio nell’affrontare la vita e le sue brutture senza lasciarsi demolire. E questo disco di coraggio ne ha tanto. Perché Rampoldi è un eroe. Anzi un «eroino della mamma». Ed ogni suo disco è un esorcismo. Terapeutico per l’autore e per chi lo ascolta. È l’urlo di chi ancora si avvale del diritto di vivere fuori dai margini, per scelta e non per esclusione imposta o snobismo. Con attitudine punk, nel senso più nobile del termine.
Edda: «Visto che viviamo una realtà di provincia in una nazione da basso impero, allora perché preoccuparci se ci chiudono le strade? Ci vogliono come loro, che mangiamo come loro, che scopiamo come loro, ma questa gente è quella che fa diventare i più sensibili di noi dei poveri pazzi, dei tossici, dei terroristi omicidi. Questa gente va tenuta lontana, non deve influenzare le nostre scelte, se fosse per loro saremmo tutti lì a mangiare carne, a lavorare come schiavi e a morire come animali, defraudati di quel poco di innocenza che abbiamo. Non sono così stupido da sentirmi meglio degli altri, anche perché non lo sono, ma noi non dobbiamo sempre tirare giù le mutande».
La voce ed i testi, in primo piano. Qualcosa di immenso: costruirci un abito sonoro attorno non è mai semplice. Ci vuole pazzia, cuore ed istinto per entrare nel mondo di Edda.
Questa volta è stata presa una strada produttiva diversa rispetto ai due dischi precedenti (che erano stati concepiti assieme al co-autore Walter Somà e poi prodotti da Taketo Gohara). Edda ha deciso di mollare il lavoro sui ponteggi ed isolarsi in una sala prove in provincia di Arezzo. Con un bagaglio di venti brani almeno, alcuni composti in precedenza con Somà, altri che si sviluppano man mano, sperimenta con l’IPad che all’inizio non sa neanche come si accende. Ma soprattutto lavora sulla sua voce, sempre più potente e lacerante, accompagnandosi con la chitarra. Da solo con la Musica a tempo pieno, raggiunge lo stato di grazia che gli permette di scrivere alcune delle canzoni più belle di tutta la sua carriera.
L’ispirazione scorre generosa, i testi unici e paragonabili a niente e nessuno si susseguono come un dono dal cielo. Perché è da lì che arriva certa roba. Almeno la scintilla iniziale: “Il primo verso te lo regalano gli Dei; gli altri devi trovarli da te, e adeguarli al primo”, disse Valéry.
Una volta messe a fuoco queste bozze di canzoni, è stata fondamentale la figura di Fabio Capalbo (regista di videoclip memorabili per Edda, Capossela, Verdena, Dilaila, Toni Bruna..., batterista con IlVocifero e co-titolare dell’etichetta Niegazowana assieme a Massimo Necchi che di questo disco è produttore esecutivo). Capalbo ha rivestito il ruolo di produttore artistico (oltre che quello di batterista) e ha raggruppato e coordinato una nuova squadra di lavoro attorno ad Edda (voce e chitarra): Luca Bossi dei Dilaila al basso, pianoforte, tastiere, Davide Lasala tecnico del suono nel suo studio, l’Edac in provincia di Como dove il disco è stato registrato e anche alla chitarra in alcuni brani, Angelo G. Mauro ai mix, Giovanni Versari ai mastering e Davide Tessari per alcune registrazioni addizionali e finalizzazioni.
È ancora Capalbo a scegliere i featuring per alcuni brani dove compaiono Sebastiano De Gennaro alle percussioni e vibrafono, “Otto” Ottolini ai fiati, Davide Tessari alle percussioni, Dorina Leka e Paola “Dilaila” Colombo ai cori.
Una strada nuova che porta ad un album più immediato e d’impatto, meno ostico. Questo è il disco rock di Edda, suonato nel suo nucleo essenziale da una band tradizionale (basso, chitarra, batteria). Il disco che i fans dei tempi dei Ritmo Tribale aspettavano. Il disco che chi ama la vasta gamma di voci e la dirompente energia sprigionata nei live si aspettava. Il disco che Edda stesso voleva realizzare e gli esplodeva dentro.
«Questo disco è vero, i pezzi sono veri, le parole sono vere e semplici. 17 pezzi come 17 re».
Edda
«Il disco è bellissimo. Perché Stefano Rampoldi, dice la verità. Basta saper rovesciare lo sguardo, quando serve».
Walter Somà
«Mi sembra che sia qualcosa di speciale, indispensabile nel percorso artistico di Edda. Il suo disco rock».
Fabio Capalbo
«Devo questo disco a Fabio, se sopravvive. Non so cosa ho fatto nella vita precedente per meritarmi Fabio e Massimo di Niegazowana. E Walter è immenso. Ho fatto questo disco con degli amici. Mi sembra la cosa migliore che ho fatto. A tous mes amis à tous les enfants: grazie».
Edda
Link:
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Inizio del concerto: ore 22:00
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