Il trio bolognese formato da Gabriele Ciampichetti (voce, chitarra, basso, electronic), Matteo Dicembrio (voci, synth, campioni) e Stefano Orzes (batteria, percussioni), in arte Crazy Crazy World Of Mr Rubik, debutta con “Are You Crazy or Crazy Crazy” (2010), un breve disco tutto pattern tribali di batteria, tastiera che prende liberamente dalle fonti minimaliste, canto degno d’un vocalist da discoteca, contorsioni strumentali e pseudo-improvvisazioni matematiche (e pirotecniche), voci aliene elettroniche e fischietti presi di peso dall’”On the Corner” di Miles Davis, toni elettronici sfuggenti e persino parodie di Elvis Presley. Una rilevante variazione sui temi di caos e rarefazione dei Pil.
Le tematiche affrontate nell’album sono scorci del nostro paese all’epoca della crisi, il tentativo di descrivere il presente in questa bolla di sfiducia nelle istituzioni e nel futuro. La copertina dell’album è tratta da una foto scattata dalla band in occasione di un loro concerto a Napoli nel periodo dell’emergenza rifiuti, successivamente trasposta su carta dall’artista Gianni De Val. Su un cassonetto dell’immondizia compariva la scritta “Urna Elettorale”.
Recensione
Con i suoi Massimo Volume lancinanti, disperati, cinici, a fare bella mostra tra i tempi dispari di una batteria sfibrata, è l´onomatopeica Tum Tum Pa Tu – Tum Tum Tum Pa il cuore pulsante dell´esordio dei bolognesi The Crazy Crazy World Of Mr. Rubik. Un brano che dà il tono a buona parte del disco, allontanandosi in maniera netta dalla gym lesson in odore di (proto) demenziale che si ascolta nell´iniziale 1st step: The Crazy Crazy Lesson e rivelando la vera natura del gruppo.
Quest´ultima per nulla disposta a sorridere, ma capace di illuderci con quell´innocuo “Crazy World” che fa tanto creatività pirotecnica à la Arthur Brown pur non avendo nulla ha a che vedere con la psichedelia colorata dei Sixties. Si parla di wave virata post punk/jazz/funk, metropoli, urbanizzazione, velocità, riduzione degli spazi fisici, in una Bologna contemporanea fin troppo distaccata e borghese. Un´ideale di integrazione tradito che respira a fatica, magari in spazi di aggregazione sociale come quel Locomotiv Club di via Serlio che con questo disco inaugura una seconda vita da etichetta discografica.
C´è una sorta di antagonismo pragmatico e disilluso nelle nove tracce in scaletta. Qualcosa di difficilmente inquadrabile, lontano dalle scene cittadine e persino dal pilota automatico di alcuni brani posti strategicamente a inizio programma per stimolare un minimo di identificazione eterodiretta (Tic Tic Tac). Un sopravvivere lontano dagli intellettualismi (La miseria non sputa dove non mangia / non sputa e basta), stretto in una realtà da mille euro al mese complessa e già morta in partenza (Pensavo fosse tutto quanto a portata di mano / un puzzle da mettere insieme / impossibile non sbagliare con tutti questi tasselli ). In cui far coesistere i CCCP cubici e inafferrabili di 43.252.003.274.489.856.000 combinazioni! e il folk-blues fuori tema di My Mama Told Me / Yellow House, i droni sacrali e le tastiere Doors di L´ottava rivoluzione silenziosa del lighi gighi gi e il noise azzerato di Te l´aveva già detto ieri Vincenzo Zappa.
Per un disco esistenziale e quindi politico. Oltre che disgregato, come i tempi che l´hanno partorito.
SentireAscoltare
SARA ARDIZZONI
Esaurita la breve ma significativa parabola dei Pazi Mine, nell´autunno del 2011 Sara Ardizzoni ha capito che i tempi erano ormai maturi per provare a intraprendere la strada solista, adottando così lo pseudonimo Dagger Moth. Forte di una manciata di brani scritti negli anni e fino ad allora tenuti nel cassetto, la cantante e chitarrista ferrarese si è prodigata nel riarrangiarli e, al contempo, affiancarli a ulteriori canzoni nuove di zecca.
Le composizioni dell’album sono così eseguite dall’autrice più una schiera di ospiti illustri. Uno stile minimale e riconoscibile, quello di Dagger Moth, a fronte di una serie di brani che esplorano diversi ambiti musicali, tra arpeggi ossessivi, distorsioni taglienti e un uso centellinato ed essenziale dell´elettronica. Con questo disco d’esordio solista l’artista emiliana smette i panni di rocker e indossa quelli di musa poetante.
La “Out Of Shot” di apertura, confezionata in una perfetta, elegante cantilena in rima Cat Power-iana, la cantata nudamente acustica di “Mono No Aware”, che procede per tensioni vocali e armoniche (l’aggrovigliato fingerpicking che ne fa da sottofondo), e l’alienata folktronica per base lo-fi e arpeggi folk-blues di “Narcissues”, sono assaggi del suo talento.
In realtà ogni brano sembra seminare nuovi generi su terreni alieni. Le invocazioni gelide alla Nico di “Ghost” sono spezzettate via via in un pulsare cosmico glitch, riff hard-rock gotici e gocce elettroniche di levità neoclassica. Ardizzoni fa il paio con le profondità siderali di Soap&Skin. In “Crushed Velvet” interferenze galattiche sovrastano e dissezionano perpetuamente un lied per arpeggi e tocchi di piano e tastiere, un´introduzione straziante per un canto non meno depresso, sorta di traduzione femminile di Mark Kozelek.
Le gravi scosse elettroniche e i vagiti siderali che sottendono a “Rust” rendono extraterrestre una tranquilla ballata folkish. Due minuti di manipolazioni maniacali in coda a “Mind the Gap” aggiungono spessore psichedelico a uno psicodramma noise-rock.
La lunga “Autumn Solo” fa storia a sé. Un drone celestiale traviato si fa inferno urlante, ma presto scompare per dare spazio al recitativo della cantante, accompagnata da una chitarra raminga che si produce in brevi siparietti, quindi una valanga di elettronica e distorsori divora tutto imponendo una sequela di accordi free-form, rievocando l’assolo dell’incipit. L’equilibrio tra parole e musica, in questa pièce, non potrebbe essere più mirato. “Wisteria Blues”, altra colonna portante dell’opera, è un concerto Jimi Hendrix-iano di timbri cromatici di chitarra stratificati, e febbrilmente impastati all’unisono con la sua voce, che spesso fa detonare in cacofonie acid-rock rimbombanti nel vuoto.
I martiri elettronici di “Deadwood”, che manipolano tanto i loop di chitarra quanto le vocali del canto quanto un battito industriale, raccolgono e ripropongono la sapienza di questi brani in formato rimpicciolito.
Da un semilavorato di una trentina di canzoni, il cui setaccio è stato affidato ai live, affrontati con il solo ausilio di voce, chitarra e loop station, e forte della lunga militanza in ambito noise-rock, Ardizzoni dà vita a un disco complesso, nei meccanismi che lo compongono, e allo stesso tempo alleggerito di orpelli inutili, iperrealista nelle emozioni ed espressionista nella calligrafia. Registrato in parte al Chicoi Recording Studio di Bassano del Grappa, in parte tra le mura domestiche con l´importante contributo del concittadino Giorgio Canali, co-produttore con la personale Psicolabel, impreziosito dal synth e dal basso di Joe Lally, anche seconda voce in “Out Of Shot”, le tastiere di Alfonso Santimone (East Rodeo, Collettivo Gallo Rojo) che aggiungono profondità a “Crushed Velvet”, dal beat di Luca Bottigliero (Mesmerico, One Dimensional Man, Lucertulas) che accompagna “Deadwood”, e lo stesso Canali che la affianca nel ritornello di “Mind The Gap”. Artwork di Davide Pedriali.
ondarock
http://www.facebook.com/TCCWOMR
http://www.ondarock.it/interviste/crazycrazyworldofmrrubik.htm
http://saraardizzoni.wix.com/dagger-moth
Dal 1990 restituiamo musica, dai un’occhiata agli artisti che sono passati dal CSC in tutte queste stagioni!
Sii protagonista, esplora e promuovi con noi musica straordinaria!
Il tuo sostegno farà la differenza!
Newsletter
Iscriviti per essere aggiornato su eventi ed attività del CSC!